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Tra gli Anni Novanta ed il primo decennio del terzo millennio la storia della Juventus è attraversata da una bandiera.
La “Vecchia Signora” scopre nel 1993, a un quarto d’ora dalla fine di un match di campionato contro il Foggia, una promessa proveniente dal Padova con la faccia da bravo ragazzo e un piede destro educatissimo. Il suo nome è Alessandro Del Piero.
In quella partita Alex non aveva la minima idea di cosa il destino avesse in serbo per lui.
L’allora diciannovenne non sapeva ancora che avrebbe indossato quella maglia per quasi vent’anni. Non sapeva che al termine di quella lunghissima avventura, il suo pubblico, nel suo stadio, lo avrebbe salutato in lacrime durante una standing ovation.
“Pinturicchio” è il nome che gli attribuisce Gianni Agnelli. Il motivo? Semplice. L’immensa classe di un ‘dieci’ che dal limite dell’area di rigore riesce a disegnare quelle parabole dall’effetto a rientrare nell’angolo alto più lontano, rispettando un costante e paritario rapporto tra bellezza ed efficacia.
Un gol che ancora oggi prende il suo nome.
Alex ci mette poco a far innamorare i supporters di fede bianconera. Il 4 dicembre del ’94, infatti, all’89’ della sentitissima partita contro la Fiorentina allo Stadio Delle Alpi di Torino, Del Piero mette a segno quella che per molti è stata la rete più bella della sua carriera.
Il terzino sinistro Alessandro Orlando lancia dalla linea di metà campo un pallone alto e lento verso Del Piero, che corre verso la porta viola. Tutti immaginano un difficile controllo in corsa, nessuno pensa a una conclusione al volo, data la posizione defilata sulla sinistra per lui che è un destro naturale. Ma Alex possiede mezzi tecnici di cui altri non dispongono e con un innaturale (per chiunque, non per lui) collo esterno al volo, indirizza la palla all’incrocio dei pali, battendo un incolpevole Toldo, che in tuffo può soltanto guardare il pallone finire in porta.
Nella stagione 1995-96 c’è la svolta della carriera di Pinturicchio. La Juventus, assaporate le sue formidabili doti, decide di puntare su di lui, lasciando partire un certo Roberto Baggio.
Il 22 maggio 1996 Alex sale sul tetto d’Europa. La Juventus alza la Coppa dei Campioni, l’ultima della storia bianconera, dopo una finale decisa ai calci di rigore contro l’Ajax.
Gli infortuni cominciano ad intralciare il cammino del numero 10 bianconero. In tal senso, il 1998 rappresenta l’annus horribilis. Il crociato fa crack sul campo dell’Udinese e dopo sole 8 partite costringe il beniamino delle zebre all’operazione negli USA ed a chiudere con larghissimo anticipo la sua stagione.
A consolarlo ci penserà il rinnovo della successiva estate, che lo porta a diventare il calciatore più pagato al mondo grazie a un ingaggio di 10 miliardi di lire all’anno.
La stagione 98/99 è dura da digerire per Del Piero. Le sue prestazioni non sono all’altezza di quelle degli anni passati. Si insinua il dubbio che l’infortunio abbia inciso pesantemente sulle sue doti atletiche. Come se non bastasse, la Lazio strappa all’ultima giornata lo scudetto dal petto dei bianconeri, i quali si arrendono al gol di Calori nel pantano di Perugia.
La rinascita di Alessandro è datata 2001, quando Marcello Lippi, tornato sulla panchina della Juventus, gli affida la fascia di capitano. Quell’anno, oltre a timbrare record su record sotto il profilo realizzativo (tra cui quello della coppia più prolifica d’Europa con David Trezeguet: 40 gol in due), regala alla Vecchia Signora lo scudetto dell’ormai celebre 5 maggio. Gol e assist a Udine, sullo stesso campo che lo aveva condannato a nove mesi di stop, mentre l’Inter fa harakiri a Roma contro la Lazio.
Probabilmente il momento che lo ha legato per sempre al cuore dei tifosi è una delle pagine più brutte della storia del calcio italiano: il caos “Calciopoli”. Molti abbandonano la nave, ma lui e pochi altri (tra i quali Buffon e Trezeguet) decidono di restare in Serie B e di lottare per riconquistare il naturale palcoscenico. E’ in quell’estate che tra Alex e la Juventus il legame diventa indissolubile.
Tra le più grandi soddisfazioni in campo internazionale, oltre all’indimenticabile conquista del titolo mondiale del 2006 con la nazionale italiana in Germania, una standing ovation del Santiago Bernabeu al momento della sua uscita dal campo di gioco, dopo aver messo a segno una doppietta sul campo delle Merengues.
Dopo essersi cucito sul petto l’ennesimo scudetto, il 13 maggio 2012, dopo aver segnato il suo 290esimo gol con la maglia bianconera contro l’Atalanta allo Juventus Stadium, esce a mezz’ora dalla fine prendendosi gli applausi scroscianti del suo pubblico che lo ammirava per l’ultima volta sul terreno di gioco.
“Pinturicchio” è stato uno dei calciatori italiani più amati all’estero. Non solo per le sue doti calcistiche, ma per una sensibilità ed una umanità mostrate a più riprese sia in campo che fuori.
“Sono fiero di mio padre che si è spaccato la schiena come elettricista, e di mia madre che ha lavato per terra in tutte le case di Conegliano. Sono strafelice di avere avuto un’infanzia nella quale i desideri erano in rapporto alle possibilità, mai di più. E quando cominciava a venire il bel tempo, si usciva nei prati, si rubavano le ciliegie e le pannocchie, e c’era sempre il mio tanto amato pallone. Era tutto così straordinario”.
Uno dei calciatori italiani più forti e puliti che la storia ci abbia consegnato ed il cui nome riecheggerà ogni volta che, dal limite dell’area, partirà una di quelle parabole che grazie all’effetto a rientrare andranno ad infilarsi sotto l’incrocio del palo lontano.
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